Il disturbo del linguaggio
Il bambino presenta delle DISLALIE cioè pronuncia male le parole.
Riportiamo la definizione dall’ ICD 10 ( Classificazione internazionale dei disturbi )
F 80 Disturbo evolutivo specifico dell’eloquio e del linguaggio.
Definizione: Disturbi in cui l’acquisizione delle normali abilità linguistiche è compromessa sin dai primi stadi dello sviluppo. Essi non sono direttamente attribuibili ad alterazioni neurologiche, ad anomalie dei meccanismi dell’eloquio, a compromissioni sensoriali, a ritardo mentale o a fattori ambientali. I disturbi evolutivi specifici dell’eloquio e del linguaggio sono spesso seguiti da problemi associati, come difficoltà nella lettura e nella compitazione, anomalie nelle relazioni interpersonali e disturbi emotivi e comportamentali.
Per comprendere meglio cosa s’intende per dislalie, di seguito proponiamo alcuni esempi: si possono verificare inversioni dei suoni all’interno di parole (sefamoro anziché semaforo, cimena anziché cinema), omissioni in cui si escludono uno o più suoni della parola (pala anziché palla, foco anziché fuoco, pota anziché porta), sostituzioni di suoni simili (corta-torta, sole-tole, cappa-coppa) e così via.
Si definiscono dislalie funzionali perché non sono presenti deficit organici dell’apparato fono articolatorio e uditivo.
Il neonato e le prime immagini
E’ noto che il neonato non è in grado di vedere in modo distinto prima che siano trascorsi alcuni mesi dalla nascita. Ma il neonato viene pulito, accarezzato, baciato e vestiti e coperte si avvolgono alla sua pelle, mentre ascolta la voce della mamma e ne coglie il timbro, la melodia, il silenzio e la presenza; quel volto che compare sopra la culla al suo richiamo è ciò che guarda più a lungo e gli muove il sorriso.
Talvolta i suoi capelli gli sfiorano il viso e sente il suo profumo e le sue labbra sul collo. La sua mano lo tocca, lo sposta, calma e piacevole; a volte lo sveste frettolosa e distratta e allora è come se lui vedesse cambiare quelle linee del viso che gli parla. Le prime immagini interne che si formano con tutti gli altri sensi, l’udito , il gusto, l’odorato, la sensibilità della pelle di tutto il corpo, sono più personali di quelle si formeranno più tardi sulla retina, nitide come sulla pellicola fotografica, uguali per tutti (se non c’è bisogno dell’oculista.) Tuttavia quando il bambino vedrà nitidamente gli oggetti, dobbiamo ritenere che il viso della mamma, i baffi del papà o la sua tazza preferita, avranno una rappresentazione interna , un’immagine che sarà unica, diversa da come la potrebbe vedere un altro bambino della stessa età.
Le immagini hanno un suono: le parole
Verso l’anno e mezzo il bambino è in grado di imparare i nomi di molte cose così realizza che il nome, il suono, “cane”, gli fa venire in mente non solo quel coso a quattro zampe che spesso gli lecca il viso facendo arrabbiare la mamma, ma anche quel cane grande che abbaia vicino al cancello e fa un po’ paura.
Quando sente la parola “macchina”, qualche volte pensa a come dormiva bene sul seggiolino quando viaggiava con il papà che guidava ma tiene ben stretta la mano della mamma quando una macchina lo sfiora mentre passa veloce a fianco del marciapiede. Ha tante macchinine nel cesto dei giocattoli, una di queste è come quella dello zio che lo porta allo zoo. La mostra spesso alla mamma facendo il verso del leone. Le vuole dire : << Quando viene lo zio con la macchina rossa , fatta come questa e potrò vedere i leoni che ruggiscono forte all’ora del pasto ? >>
E’ l’inizio del linguaggio : la parola – frase!
Quindi prima c’è l’oggetto…il cane….la macchina… poi c’è la separazione da “quel” cane e “quella” macchina per formare un’ immagine personale dell’oggetto e dopo c’è il nome dell’ oggetto che richiama non solo l’ immagine retinica (uguale per tutti ) dell’oggetto, ma un immagine interna, modificata e arricchita dalle fantasie suscitate dall’esperienza affettiva vissuta con quell’oggetto. Quindi le immagini presenti nella mente del piccolo di poco più di un anno si legano al suono delle parole della propria lingua madre e adesso lui capisce le parole che la mamma gli dà come prima gli dava il latte. Dalla bocca alle orecchie e poi ancora alla bocca che pronuncia le parole per chiamare a sé l’oggetto.
Può essere utile a questo punto riportare le parole di Massimo Fagioli in “Istinto di morte e conoscenza” ( L’asino d’oro edizione 2017 pp. 153 )
E’ in questa situazione (quando il bambino lascia il seno -corsivo mio ) che le immagini non restano più tali ma hanno nomi, è in questa situazione che si sviluppa il pensiero verbale. La mamma e la pappa non sono più solo oggetti, o immagini interiori, ma anche parole. Si potrebbe dire che prima c’è l’oggetto, poi l’immagine dell’oggetto, poi il nome dell’oggetto. Come un passaggio, una integrazione occhi orecchie, un passaggio da bocca per mangiare a bocca per parlare.
(…) In questo fenomeno di verbalizzazione si perde l’immagine, l’immagine ‘sparisce’. Da questa sparizione deriva un’altra acquisizione psichica, il pensiero verbale. L’acquisizione di simboli.
(…) Dagli occhi alle orecchie, dicevamo, cioè con l’intervento del suono, le immagini si trasformano in simboli. La recezione acustica si aggiunge alla recettività visiva. le immagini interiori acquistano una qualità in più, hanno cioè un suono.
(…)Possiamo pensare che soltanto sulla base di una realizzazione interiore di oggetto totale, di contenimento della libido, di profondità di vedere, la percezione e l’aggiunta del suono possano permettere alla fantasia di sparizione di agire non come annullamento di immagini, ma come trasformazione di esse in segnali.
L’immagine si trasforma in segnale e la libido, liberatasi dall’immagine interiore, investe l’oggetto. Un’altra creazione. Come quando la fantasia di sparizione si attua nella percezione dell’ambiente atmosferico e, attuandosi, più che annullare l’ambiente e particolarmente la luce, realizza una immagine di ambiente diverso e un vedere psichico, il ricordo dell’ambiente intrauterino, così alla formazione del pensiero verbale, l’ascoltare la parola, cioè la stimolazione esterna, viene trasformata dal bambino nel senso che questi vi aggiunge la propria situazione e possibilità libidiche, le riproduce, ma diverse da prima per il significato.
La mamma dice al bambino la parola per insegnare, dare qualcosa, il bambino la riproduce per chiamare l’oggetto. Gli cambia il significato, il senso, potremmo dire il verso. Perché ci mette la sua libido tendente ad avvicinare l’oggetto a sé. La parola va intesa quindi con la vicenda pulsionale di chi la usa, per dare e insegnare, per intimidire, per costituire una barriera tra sé e gli altri.
E’ necessario sottolineare che la madre, per tutto il primo anno di vita ha, con il suo bambino, uno scambio di informazioni che non ha bisogno di parole e quindi il loro rapporto rischia di costituirsi più come simbiosi che come scambio tra due esseri umani ben distinti. Infatti ancora un gran numero di madri è convinta (pensiero non cosciente o cosciente ? ) che sia lei a far nascere il figlio, invece il travaglio di parto inizia in modo del tutto involontario. In seguito può credere di avergli insegnato a camminare, mentre è ovvio che la deambulazione in stazione eretta è dovuta a spontanea maturazione neurobiologica.
La mamma parla naturalmente al suo bambino perché gli esseri umani parlano tra loro come caratteristica della specie umana e il bambino ascolta e impara. Il bambino non ripete il linguaggio appreso dalla mamma ( il neonato non è una tavoletta di cera !!) ma a partire dalle parole udite, costruisce un “suo” linguaggio, attraverso un esperienza di rapporto in cui la dimensione affettiva ha un ruolo fondamentale. Dunque non solo la quantità di parole scambiate con la mamma influenza l’acquisizione del pensiero verbale ma soprattutto la qualità del rapporto. Quando il bambino potrà trotterellare per qualche minuto lontano dalla mamma anche nella stanza accanto, sperimenterà un inizio di autonomia, una prima separazione dalla madre. Poi con le prime parole udite il bambino è in grado di capire la sua lingua madre molto prima che riesca a parlare e arricchirà poi in modo esponenziale la sua esperienza del mondo.
Ma per il bambino che sarà un futuro dislalico e forse poi dislessico, a questo punto qualcosa non va per il verso giusto, proprio nel passaggio dal pensiero per immagini al pensiero verbale.
Dal pensiero verbale al linguaggio articolato
La parola-frase esprime con una parola tutto un discorso che sintetizza un’esperienza complessa e carica di significati. Nell’esempio precedente il bambino vuole dire che è stato molto contento di andare allo zoo con la macchina dello zio e ripeterà più volte soddisfatto, facendo la faccia feroce :<< popò rooar ! >> ricordando il ruggito dei leoni dopo il pasto o ancora dirà : << roarr ??>> per chiedere quando verrà lo zio che forse lo riporterà allo zoo. Via via che il bambino matura il suo apparato fono–articolatorio, riuscirà a pronunciare tutti i fonemi presenti nella sua lingua madre, in un ordine di crescente difficoltà e utilizzerà un numero di parole sempre più numerose al crescere dell’età.
Del resto già molto prima di pronunciare tante parole ne aveva comprese molte di più. Si deve capire invece perché molti bambini non pronunciano bene le parole e tra questi sicuramente ci sono i futuri dislessici. Tuttavia gli stessi bambini sono capaci di pronunciare correttamente i singoli fonemi isolati, ma non all’interno della parola che viene modificata al punto da riuscire spesso incomprensibile. . Si dice che manca loro la “f” o la “c” ma in realtà pronunciano perfettamente questi fonemi in un’altra parola o isolatamente. E’ facile notare inoltre che molto spesso questo bambino pronuncia una certa parola sempre con la stessa dislalia. Come se le parole ascoltate come un insieme sonoro, venissero ricreate e pronunciate con un difetto, una particolarità, un errore trascurabile per il bambino perché per lui è importante solo l’insieme del suono, detto ‘parola’. La parola cioè riesce a evocare l’immagine corrispondente, anche se non tutti i fonemi che la compongono sono definiti. Sembra che i singoli fonemi per questo bambino siano come dei particolari trascurabili in un disegno che richiama istantaneamente alla sua mente, l’oggetto corrispondente. Potremmo dire che usa quell’insieme sonoro che arriva al suo apparato uditivo con un atto percettivo globale, sintetico e non analitico dei singoli fonemi che costituiscono la parola udita.
Massimo Fagioli da “ Se avessi disegnato una donna “ in “Bambino donna e trasformazione dell’uomo” scrive :
Il piccolo poeta è costretto ad esprimersi, non potendo articolare le parole, con il senso dell’armonia di suoni che riesce ad emettere. Egli percepisce e comprende soltanto il contenuto dolce e soave o cattivo e duro del suono che gli è stato rivolto, e risponde con lo stesso linguaggio di gioia o di dolore. “Aaaah”, mi disse ed io risposi: ”Aaaah”. Era un bambino ed io volli essere più bambino di lui ricordando quell’ adulto che mi parlava ed io non comprendevo sentendo soltanto il suono che usciva dalla sua bocca e l’armonia di esso. Ma era un discorso completo come quello filosofico in cui uno comunica all’altro un concetto e l’altro comprende (…) Trasformazione del suono udito in suono pronunciato, cambiamento di una voce con un’altra voce, modulazione di tono ci dicono che la parola insegnata è in verità parola presa, appresa, ascoltata non succhiata come il latte da una mammella.
E’ evidente da queste righe che l’acquisizione del linguaggio avviene per un’ attività del bambino e questa attività dipende dalla motivazione a voler realizzare l’apprendimento stesso. Le dislalie sono fisiologiche fino ad una certa età che possiamo collocare prima dei tre anni, ma se invece perdurano, segnalano un rallentamento della normale evoluzione nell’acquisizione del linguaggio articolato. Tuttavia questo rallentamento o arresto non è dovuto ad alcuna alterazione organica ma possiamo affermare per esperienza clinica che la causa è da ricercare in una alterazione nella relazione con la madre che non può, non vuole, non riesce profondamente ad accettare la continua evoluzione del ‘suo’ bambino.
Tuttavia è necessario far notare una cosa ovvia ma spesso ignorata e cioè che chi osserva il linguaggio del bambino può rilevare solo quello che il bambino vuole produrre e non quello che realmente ha acquisito. Ad esempio: si può pensare che non abbia acquisito il linguaggio un bambino che non parla fino a 3 anni ? invece è noto che quando decide di parlare il suo linguaggio è adeguato alla sua età. Come nei casi di mutismo selettivo il bambino ‘decide’ di non parlare solo in determinati ambienti e per ragioni solo ipotizzabili, ma certamente non organiche ma relazionali. Comunemente l’apprendimento del linguaggio verbale viene studiato sia nell’aspetto recettivo, cioè la capacità del bambino di comprendere il linguaggio articolato e sia nello sviluppo fono articolatorio e cioè la capacità di produrre fonemi e parole in modo corretto.
Si afferma che la produzione dei suoni delle parole richiede sia la conoscenza fonologica dei suoni delle parole sia la capacità di coordinare i movimenti degli organi articolatori cioè mascella, lingua e labbra, con la respirazione e con la vocalizzazione finalizzata al parlare. Queste specificazioni però rischiano di spezzettare la visione globale dell’apprendimento del linguaggio del bambino e si rischia di suggerire, come di fatto purtroppo avviene, una diagnosi e un trattamento ripiegato sul sintomo. Come se si trattasse di stimolare un certo gruppo di muscoli che si presentano ipotonici per una qualsivoglia eziologia nota. Invece la consapevolezza fonologica è la capacità di percepire e riconoscere per via uditiva i segmenti fonologici (sillabe e fonemi) che compongono le parole del linguaggio parlato.
La consapevolezza fonologica globale (sensibilità fonologica) attiene alla struttura fonologica ‘superficiale’ del linguaggio. E’ presente in bambini prescolari: corrisponde alle riflessioni sulla fonologia del linguaggio che cominciano a svilupparsi spontaneamente dai 3 / 4 anni. Si sviluppa prima ed indipendentemente dell’apprendimento della lingua scritta ed è ritenuta preparatoria ad essa. Infatti prima dei 5 anni i bambini giocano facilmente a trovare cose che cominciano con un certo fonema (il vecchio gioco del bastimento carico di …) e una difficoltà a questo livello va indagata.
Tuttavia rappresenta una condizione indispensabile che un bambino riceva dall’adulto il necessario stimolo emotivo e cognitivo insieme all’ informazione linguistica, per poter imparare a parlare in modo corretto. Si può quindi ritenere che una difficoltà relazionale con l’ adulto di riferimento, possa diminuire la necessaria attenzione allo stimolo linguistico . Se quindi è vero che anche negli adulti la motivazione all’apprendimento, aumenta in maniera esponenziale l’apprendimento stesso, a maggior ragione una insufficiente motivazione potrebbe diminuire la capacità del bambino di acquisire un linguaggio adeguato. Ma l’esperienza clinica ci porta a pensare che il bambino esposto ad un normale ambiente linguistico apprenda comunque un linguaggio sufficiente, almeno per gli scambi quotidiani ma che non possa e/o voglia essere pienamente consapevole del livello di sviluppo raggiunto e tanto meno farlo vedere ai genitori e quindi anche agli altri adulti.
Una delle ragioni di questo comportamento sta nel fatto che l’evoluzione del linguaggio è per il bambino la realizzazione e la dimostrazione di uno sviluppo, di una crescita : per un bambino parlar bene è diventare grande e diventare più autonomo dai genitori. Tuttavia la crescita e la nuova autonomia del figlio, non viene sempre vissuta positivamente dal genitore, anzi in alcuni genitori accade il contrario e loro stessi riconoscono facilmente che riescono a provare più tenerezza, amore e calore quando il loro bambino è più piccolo.
L’acquisizione del linguaggio da parte dei bambini richiede un enorme lavoro, ma fisiologico, di rielaborazione del linguaggio dell’ambiente linguistico in cui sono immersi e quindi potrebbe accadere che il bambino non sia motivato a farlo e non utilizzi tutte le risorse che la sua intelligenza gli mette a disposizione. Si potrebbe quindi verificare un reale, momentaneo rallentamento nelle competenze fonologiche anche se la nostra esperienza clinica non lo conferma. Tuttavia questo eventuale rallentamento sarebbe comunque presente solo momentaneamente, quando questo aumento delle competenze linguistiche non possa coincidere con un aumento di considerazione, riconoscimento e affettività da parte dei genitori. Diciamo meglio : quando un genitore riesca a tenere un accettabile livello di affettività verso il figlio solo se riesce a negare il suo sviluppo. Infatti spesso alcuni genitori ammettono tranquillamente di non avere corretto nel loro bambino certe parole dislaliche, come fosse un bambino più piccolo, proprio perché quei piccoli errori suscitavano in loro un senso di tenerezza e protezione.
Tuttavia la maggior parte dei genitori rispondono molto positivamente al lavoro di psicoterapia centrato sul cambiamento della loro relazione con il figlio, soprattutto perché vedono i rapidi miglioramenti non solo del linguaggio del bambino ma anche del suo sviluppo globale.