DISLESSIA (con la disgrafia e discalculia costituiscono i DSA)

Disturbo evolutivo specifico delle abilità scolastiche
Definizione:dall’ ICD 10

Disturbi in cui le modalità normali di acquisizione delle capacità in questione sono compromesse sin dalle fasi iniziali dello sviluppo. Il danno non è semplicemente una conseguenza di una mancanza delle opportunità di apprendere, non è soltanto il risultato di un ritardo mentale e non è dovuto ad alcuna forma di trauma o malattia cerebrale acquisita.

Storia di Luca

All’ inizio è facile, disegno dell’ape…la linea che si dice ‘ape’; disegno del sole e Luca legge ‘sole’!

La maestra è contenta: “Impara quasi meglio degli altri!” – dice alla mamma.

Copia dalla lavagna sul suo quaderno la parola ‘casa’ e la maestra dice di riscriverla sul quaderno molte volte, anche dieci volte e lui lo fa, attento.

Ma la mamma alle ultime parole gli chiede: “Ma che hai scritto qui?- e lui, sorpreso, risponde: “casa!”. La mamma fa una strana faccia e aggiunge che non si legge più casa, ma una strana linea sul foglio. La mamma lascia correre. Poi succede ancora…lui pensa di avere scritto bene, la ‘C’ è il tetto, le due ‘a’ sono le finestre e la ‘s’ è la porta.

Legge anche molte altre parole, ma c’è sempre qualcosa che non va.

A scuola la maestra lo incoraggia: “Va bene, stai più attento, non ti distrarre!”.

Non è facile, a scuola succedono tante cose: due mosche sopra la cartella di Matteo, la finestra che si muove con il vento, le nuvole grigie sopra il cortile.

Gli altri sembrano non farci caso, ma per lui è difficile tenere gli occhi sulla lavagna o sul suo quaderno. I suoi occhi quando legge si muovono in continuazione, non lo fa apposta, a destra e a sinistra, in alto e in basso, immagina anche dietro la lavagna quando la maestra scrive e dietro il suo foglio di quaderno. Ma dicono che si è stancato e va di fretta perché vuole andare a giocare.

Luca è stato sempre bravo, sin da piccolo, a riconoscere le cose, anche se parlava in modo un po’ buffo che faceva sorridere, riconosceva subito la macchina del papà o della zia, anche le targhe.

Ha sempre notato tutto meglio degli altri…piccole differenze in due portoni uguali e molte volte ha guidato i suoi con sicurezza in un percorso di montagna: “Vedi” – diceva – “siamo passati di qui vicino a quell’albero con le foglie strane e quindi dobbiamo girare di là!” .

Anche adesso che fa la prima elementare i suoi occhi vedono tante cose.

Quando li chiude immagina…maghi e draghi…e il polipo gigante che mangia gli uomini come ha visto in un cartone animato. Quando la mamma si arrabbia il suo viso sembra quello della strega di Biancaneve; il lupo impagliato del museo della Sila gli sembra che muova un po’ la bocca con i grandi denti.

Adesso impara tante parole posate sul bianco del foglio del libro, segnetti neri sul fondo bianco. Il gesso bianco sul nero della lavagna.

Quanta fatica fare gli stessi segni sul suo quaderno! Gli occhi percorrono troppo in fretta quella fila di segni, vanno avanti e indietro e sopra e sotto. Che sollievo quando riconosce una parola, ma sono tante, sono troppe tutte insieme e poi basta niente, un piccolo particolare e cambia tutto.

Aveva appena immaginato una grande nave con le bandiere, ma la maestra parla della neve che proprio non c’entra nulla. Un piccolo tondino in alto invece che sotto e lui che aveva pensato a una storia di pirati, si ritrova con i cani da slitta di una spedizione antartica. Come può un tondino messo in alto cambiare così le cose?

Non funzionano così i disegni, puoi disegnare un albero con le foglie o con i rami nudi, ma rimane sempre un albero. Invece la storia cambia se un orso va sotto un albero o sotto un albergo.

In fondo si tratta di un misero segnetto, solo una lettera ‘g’!

E’ l’inizio di un incubo! Luca ancora non lo sa, ma quest’incubo si chiama DISLESSIA!

In pochi mesi di fronte ai compagni che sembrano affrontare naturalmente le novità scolastiche, comincerà ad insinuarsi in lui il dubbio inconfessabile di non essere bravo, peggio, di non comprendere, di non essere intelligente, di avere qualcosa che non va rispetto ai compagni.

Per questo, metterà in atto complesse strategie per nascondere strenuamente la sua difficoltà e anche la crescente ansia.

 

Luca nell’acquisizione della letto scrittura è rimasto allo stadio logografico in cui il bambino vede la parola come un disegno e corrisponde all’età prescolare ( Uta Frith 1995 ). Quindi il suo sviluppo ha subito un rallentamento in questa competenza mentre nella descrizione del ICD 10 si parla di danno e di capacità compromesse nonostante la presenza di un QI nella norma anzi, molto spesso superiore alla norma.

Il dibattito intorno all’origine di questa condizione tuttavia permane: la dislessia è infatti definita dall’ International Dyslexia Association (IDA), una disabilità dell’apprendimento di origine neurobiologica.

Affermano che queste difficoltà derivano tipicamente da un deficit nella componente fonologica del linguaggio, che è spesso inatteso in rapporto ad altre abilità cognitive e alla garanzia di un’ adeguata istruzione scolastica.

La dislessia è definita un disturbo funzionale di origine neurobiologica anche da eminenti ricercatori italiani: ipotesi sostenuta tra l’altro dall’evidenza clinica per cui nei dislessici ci sarebbe una difficoltà a mantenere la traccia mnesica del processo necessario ad apprendere la letto-scrittura.

Tuttavia, l’apprendimento della lettura è definito come una capacità innata di automatizzare ‘inconsapevolmente’ l’apprendimento della lettura.

Ma è anche un fenomeno definito ‘imprendibile’ perché non si sa come si impara in poche settimane a leggere e scrivere.

Mentre un esercito di organicisti cerca marker biologici per questo disturbo funzionale, la nostra ricerca ci permette di accostare al termine ‘inconsapevolmente’ la definizione di ‘non cosciente’ e di aggiungere che la realtà psichica del bambino è profondamente legata alla relazione non cosciente con l’adulto significativo.

Non riteniamo quindi accettabile l’ipotesi neurobiologica perché vuole suggerire un danno organico che nessuna ricerca strumentale o di laboratorio ha mai confermato.

Molto è stato scritto sui sintomi evidenti,  sulle conseguenze manifeste dell’insuccesso scolastico,  sulle caratteristiche di personalità ricorrente in questi bambini, ma secondo il nostro approccio teorico e metodologico, per cercare di comprendere è necessario portare la ricerca alle immagini interne, non coscienti, della mente di un bambino dislessico quando è impegnato nel processo di lettura.

Dunque la scoperta della “Teoria della nascita” di Massimo Fagioli e le conseguenti ricerche sulla fisiologia dello sviluppo della mente umana, ci portano ad approfondire la ricerca di un’eziopatogenesi della dislessia nelle fasi precoci del rapporto bambino- adulto.

Noi esseri umani impariamo a comunicare prima con gesti e suoni e a parlare e scrivere in seguito, per stare insieme, per dirci il nostro amore o le nostre paure, ben prima di raggiungere ‘l’età della ragione’.

Le due grandi separazioni

 

Consideriamo che lo sviluppo mentale di un essere umano ha inizio alla nascita, con la formazione di un’immagine mentale originaria e originale, come reazione della sua realtà biologica che si svilupperà poi nel rapporto con un altro essere umano.

Contrariamente a quanto si riteneva un tempo, il neonato ha una propria capacità di sentire e fare immagini mentali in base agli stimoli che riceve nel rapporto interumano.

Nasce quindi con un proprio Io e stabilisce un rapporto con la realtà sulla base di un investimento pulsionale della realtà stessa, nello specifico con la madre, ma potrebbe essere anche un’altra figura significativa.

Nell‘allattamento il neonato ricrea ciò che è accaduto alla nascita ed ogni separazione a fine poppata, diventa conoscenza della realtà psichica dell’altro essere umano.

È necessario andare oltre l’apparenza materiale per comprendere che si tratta di un rapporto interumano soggetto-soggetto’, pur nelle differenze, in cui entrambi realizzano una propria identità umana, ricevendo dall’altro, stando insieme.

Queste conoscenze fondano la possibilità di un rapporto con il neonato e con il bambino in seguito, molto diverso da quello veicolato dalla cultura occidentale per cui la realtà del bambino andrebbe plasmata, ed educata sino a giungere ad una piena razionalità.

È noto che l’evoluzione psico-fisica dell’essere umano avviene infatti per ripetute separazioni creative dopo un rapporto vissuto, nelle quali si realizza una identità nuova: la prima separazione fondamentale della vita è la nascita, in cui il neonato realizza un’identità umana autonoma dalla madre.

Una seconda tappa evolutiva è rappresentata dalla capacità del bambino verso gli 8-9 mesi, di disegnare   una linea ideale intorno al proprio volto, nell’immagine riflessa nello specchio: una consapevolezza di sé che lo riempie di gioia e che gli consentirà di superare la successiva separazione, quella detta dello ‘svezzamento’.

Più che riferirsi al cambiamento di alimentazione o alla deambulazione, lo svezzamento è inteso come una maturazione psichica generale che determina una maggiore autonomia del bambino e con essa un grande cambiamento  nel rapporto con la madre.

Per quanto attiene allo specifico del tema affrontato, vanno considerati due salti evolutivi che sono due separazioni dal passato per ogni bambino:

–  dall’immagine, alla parola (12-18 mesi circa)

–  dal linguaggio articolato alla letto-scrittura (5-6 anni)

Passaggi evolutivi in cui il precedente ‘sparisce’ per fondersi alla successive acquisizioni, come quando nelle possibilità di scrivere parole, dovrebbe esserci, anche se invisibili, l’immagine e il suono delle parole ascoltate e dette.

La capacità di immaginare una linea  che disegna  il proprio volto allo specchio, sapere della propria identità unica e diversa da quella della madre, è il precursore della possibilità di tracciare materialmente la linea su un foglio con un’operazione di fantasia che coinvolge il fare per rappresentare.

Il passaggio successivo è avere il coraggio di spezzettare questa linea, perdendo l’immagine, come fosse rappresentazione della distruzione, se non intervenisse la fantasia e la certezza del rapporto.

Se l’adulto che si è ammalato non riconosce più come proprio il suo volto allo specchio, è possibile che il bambino di 6 anni che deve utilizzare questa linea contorta e spezzettata affinché diventi scrittura, non abbia potuto difendere questa prima identità (cioè la linea del volto) dalla negazione della madre che non vorrebbe mai lasciarlo crescere?

Dal linguaggio articolato alla parola scritta

La maggior parte degli studiosi concordano nel ritenere che il bambino dislessico abbia avuto un precedente disturbo del linguaggio che non è più riscontrabile, non solo al momento della diagnosi di dislessia, ma quasi sempre prima del suo ingresso nella scuola elementare.

La ragione per cui un dato anamnestico così importante non è facilmente rilevabile, sta nel fatto che si tratta spesso di un disturbo lieve che viene sottovalutato da pediatri e genitori.

Infatti questo rallentamento nell’acquisizione del linguaggio che si presenta con lievi dislalie, viene fatto rientrare nelle normali differenze di sviluppo senza future conseguenze, al pari delle lievi differenze individuali con cui i bambini iniziano la dentizione o muovono i primi passi.

E’ pur vero d’altra parte che solo alcuni dei soggetti che hanno cominciato a parlare tardi, spesso dopo i tre anni,  e/o hanno presentato un linguaggio “da bambino più piccolo”  o  con  dislalie odislali distorsioni delle parole, diventeranno più tardi dislessici.

 Quando questi bambini come Luca cominciano a leggere le prime parole bisillabe, non riescono a unire ad es. ‘pa…ne’.

Uniscono facilmente la consonante con la vocale ma non riescono a unire le due sillabe a formare la parola ‘pane’.

Restano completamente bloccati per molto tempo e questo stupisce e irrita molto genitori e insegnanti, perché normalmente i bambini, quando hanno riconosciuto la consonante e l’hanno unita alla vocale, velocemente leggono e comprendono la parola.

Invece, quando dimostriamo a questi bambini che le sillabe sono come i tasti di una pianola e il suono del primo tasto-sillaba si unisce al secondo che suona insieme, leggono subito.

E’ sorprendente! Facciamo loro suonare le sillabe come fossero note musicali e iniziano a leggere, eppure infinite volte gli era stato detto da insegnanti e genitori di unire le sillabe.

E’ come se avessero bisogno di trasformare in note musicali le sillabe perché per loro le lettere scritte sul foglio non hanno suono.

Occhi-orecchie: manca questo passaggio ?

Una paziente dislessica adulta dopo avere elaborato questo problema, racconta di aver sognato una specie di piccolo cono che partiva dalla bocca e arrivava all’orecchio.

Cosa vuol dire leggere?

Vedere dei simboli (grafemi/ lettere) e sentirne il suono internamente prima di potere pronunciare i fonomi corrispondenti. Nella scrittura il processo è inverso.

È pensabile che un disegno non abbia suono e per questo il dislessico non senta il suono di quel particolare disegno che è la scrittura?

Come se volesse ritrovare quel primo anno di vita senza coscienza e senza linguaggio articolato cercando, quelle immagini interne che non sono descrizioni di immagini retiniche.

Ma la parola scritta non può diventare immagine se prima non può contenere in sé il in suono, che è poi un “nome dato alle cose” molto prima di poter leggere.

Il bambino dislessico non supera questo passaggio, cerca l’immagine delle cose nella forma delle parole come se fossero degli ideogrammi. Perché non riesce a trasformare le parole scritte in suoni?

Come se si fosse separato dal precedente stadio evolutivo con un annullamento e non attraverso una fantasia di sparizione?

Ritorniamo dal nostro piccolo Luca che è rimasto al primo stadio cioè quello chiamato logografico.

Lui riconosce e legge alcune parole in modo globale perché contengono lettere (grafemi) ed elementi che ha imparato a riconoscere.

Il bambino disegna le parole come se fossero il logo che sta al posto dell’oggetto con la sola differenza che utilizza segni convenzionali piuttosto che riprodurre le caratteristiche fisiche dell’oggetto.

Come abbiamo detto, manca consapevolezza sulla struttura fonologica delle parole scritte.

Nello stadio alfabetico (lettera per lettera), con la scolarizzazione, il bambino impara la relazione esistente tra la forma verbale delle parole e quella scritta, relazione mediata dal codice alfabetico.

L’apprendimento di Luca subisce quindi un rallentamento come era avvenuto precedentemente nel processo di acquisizione del linguaggio per cui il bambino, oggi dislessico, parlava come un bambino più piccolo della sua età, con errori che vengono definite ‘dislalie’.

Anche se l’acquisizione della letto-scrittura richiede un apprendimento, perché lo stesso rallentamento si è verificato nello sviluppo del linguaggio che avviene spontaneamente?

Perché questo rallentamento nell’apprendimento del linguaggio, viene superato senza intervento logopedico nella maggior parte dei casi, come abbiamo già detto?

Il bambino riconosce la parola scritta come un disegno che rappresenta una cosa che lui conosce e di cui sa il nome che può facilmente pronunciare.

Come se vedesse un disegno in quella linea contorta e spezzettata (ad esempio la parola scritta ‘sole’) e riconoscesse l’immagine del sole.

Per questa ragione a volte gli insegnanti possono credere che il bambino legga e accorgersi solo più tardi che il bambino ha memorizzato la forma, il disegno di molte parole come un simbolo, come una specie di ideogramma.

Come se il dislessico facesse la stessa operazione mentale sia quando vede un tondino circondato da raggi che quando vede in una linea contorta la scritta ‘sole’.

E’ possibile pensare che preferisca usare gli occhi rispetto  alle orecchie? Come se il pensare per immagini lasciasse più liberi, più indipendenti dalla madre che gli ha ‘insegnato’ a parlare?

Certo non è un’autonomia sana perché è fondata sull’annullamento delle parole apprese che non è riuscito a rielaborare in modo personale come ‘suo’ linguaggio, non potendo così realizzare una separazione come fantasia-ricordo e quindi trovare una sua singolarità nel linguaggio appreso.

Si può pensare che tenti di ricreare il primo anno di vita senza linguaggio articolato ritornando alle immagini più personali diverse da quelle retiniche uguali per tutti.

Invece è necessario distinguere bene tutti i singoli suoni e poi occorre scriverli in un certo ordine perché “pane” non è “panne” o “nave” non è “neve”.

Il bambino dislessico invece legge in modo sintetico, globale, come se si precipitasse a riconoscere una parola che possa essere a lui familiare, ma che spesso ovviamente è diversa da quella scritta. Viene chiamata “anticipazione”.

C’è un’ansia in questi soggetti di dare un senso compiuto a quei segnetti neri sul foglio e quest’ansia li costringe a correre con gli occhi avanti e indietro sopra e sotto lo scritto, per leggere delle parole che abbiano, come potremmo dire, un immagine, un significato a loro noto. Un disegno infatti si “legge” facendo vagare lo sguardo nella sua complessità prima che sui dettagli.

Non sopportano di leggere una parola di cui non conoscono il significato, cosa ovviamente frequente in bambini con un vocabolario ancora limitato. E poi le preposizioni sono ostacoli  incomprensibili dove si blocca tutto: ‘in’, ‘dalle’ non hanno immagine.

Paura di abbandonare l’immagine e diventare anaffettivi

“Conosciuto davanti allo specchio il volto dell’io fatto soltanto di luci, ombre, colori, l’essere umano non perse la mente quando l’immagine vista sparì per il cammino che lasciò lo spazio. 5 anni.”(Massimo Fagioli in Left n 31, 30 luglio 2016)

Il bambino che manifesterà in seguito problemi di dislessia, ha vissuto nelle fasi precoci di vita, la paura della separazione insita in ogni passaggio evolutivo: nel rapporto con la madre, la paura che ogni sua evoluzione metta in crisi non solo il rapporto con lei, ma metta in crisi la madre stessa, che è il suo amore.

Come se ogni scoperta, ogni acquisizione, vedesse madre e figlio in un antagonismo lacerante di ‘mors tua vita mea’, un dilemma che determina nel bambino la ‘costrizione’ a separarsi con ripetuti annullamenti più o meno parziali, perdendo così l’immagine del rapporto, ma in verità perdendo l’immagine e l’affettività del sé precedente in rapporto.

Un vissuto di ambivalenza e di sfiducia nei confronti della madre: sentirsi amati e contemporaneamente ostacolati nella espressione di sé (quindi non amati).

Per i ripetuti annullamenti che il bambino fa, prevale la paura di abbandonare l’immagine, o meglio la paura di perdere la mente quando l’immagine sparisce, per far comparire quei segni neri che sembrano  lontani e inaccessibili alla conoscenza.

Ogni evoluzione è strappata all’affetto, come zampa strappata dalla tagliola, per salvarsi la vita (mentale), se il bambino tenta una resistenza.

Simbiosi patologica invece, se il bambino non ha potuto salvare una vitalità sufficiente per sapere di sé, per sapere di non essere cattivo perché ‘vuole essere’.

Sembrerebbe che rispetto alle problematiche del linguaggio affrontate in precedenza, la dislessia ma diremmo meglio ancora, la disgrafia, evidenzi una difficoltà più profonda nel processo evolutivo, quasi a determinare un ‘non posso’ più o meno interiorizzato dal bambino, che di solito ne compensa i sintomi in modo razionale, facendo appello ad altre capacità.

Nei casi in cui la difficoltà grafica sia evidente di solito si tratta del corsivo, rappresentando quanto di più personale realizza la grafia, la firma, il proprio volto, diverso da quello degli altri.

In alcuni casi lievi, che non giungono all’osservazione clinica, la difficoltà è di ‘reidratare’ le parole scritte sul foglio da altri, con interesse e affetti propri, per poterne udire il suono che ora non c’è più, per poter comprendere il senso del testo che si legge.

È di comune osservazione nella clinica, che le madri di questi bambini ormai in età scolare, hanno un assetto intrusivo e invadente anche se mascherato da una solerzia di accudimento e usano spesso espressioni come: “Abbiamo fatto i compiti; abbiamo preso un bel voto”. Ma tutto ciò ha avuto origine ben prima e anche se non immediatamente ravvisabile in comportamenti specifici.

Ciò che può causare la difficoltà di sviluppo di un bambino è lo scontro tra la credenza che molte donne hanno di avergli dato la vita e la scoperta sconcertante che un bambino, anche molto piccolo, manifesti una propria identità autonoma, anche se immatura e vulnerabile.

Di fronte a questa scoperta la madre può reagire con un’ angoscia abbandonica, come se lo sviluppo dell’identità del bambino si configurasse come ribellione a lei o peggio come un rifiuto.

I bambini possono arrivare a nascondere le loro capacità di parlare e scrivere poi, perché sentono che non possono farlo, in quanto rischierebbero di ‘abbandonare’ la mamma che non è in grado di sopportare questa separazione.

Fanno proprio un pensiero della mamma per cui ‘diventando grandi’ non avrebbero più bisogno delle sue cure materiali, verrebbe meno un ruolo (che in alcuni casi si fa identità) che da sempre ha rivestito nella società.

Per lasciare libero il figlio occorre che le donne raggiungano intimamente un’identità che non sia solo quella sociale e professionale, ma un’identità umana pienamente realizzata.

La credenza cattiva che il bambino voglia bene alla mamma perché ha bisogno di lei per sopravvivere, realizza una cecità grave nel rapporto di accudimento, una grave negazione della verità umana del figlio di cui poi è temuta l’intelligenza e lo sviluppo vitale di ogni autonomia.

Spesso l’uomo che sta accanto a queste donne non sa e/o non vuole aiutarle in questo difficile cammino, anzi spesso si mette in competizione con il figlio nella richiesta di attenzioni come se anche lui non avesse raggiunto una maturità psichica adeguata.

Accade così che il bambino senta l’odio del padre, la sua competizione e per questo si leghi ancora di più alla madre aumentando la sua dipendenza da lei.

L’identificazione del figlio maschio con la madre potrà in seguito impedirgli di realizzare da adulto una bella immagine interna femminile.

 

 

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